I luoghi del 2023

MASSERIA GUARDIOLA, ANDRIA

La masseria Guardiola, situata ad Andria nell’omonima contrada, nei pressi del Santuario del Ss. Salvatore, sulla strada che conduce a Troianelli (uno degli snodi principali tra la Bassa e l’Alta Murgia) è stata azienda agricola e successivamente residenza vescovile.
Costruita nel 1749, con interventi di aggiunte strutturali e ristrutturazioni effettuati nel 1825 e nel 1934, rivela la sua duplice morfologia storica, presentandosi con un’architettura tipicamente rurale nella parte inferiore e riproducente invece la tipica impostazione della dimora signorile in quella superiore. Di particolare pregio sono gli ornamenti ed i quadri del piano superiore, mentre quello inferiore è predisposto per poter ospitare fino a 200 persone per ricevimenti ed eventi di qualsiasi tipo, attrezzata anche con cucina per servizi beverage and food.
Interessante anche l’esterno, con la struttura muraria originaria intatta ed un’ampia estensione di terreno destinato ad uliveto, mentre lo spazio antistante la masseria è a sua volta equipaggiato per la gestione di eventi.
Attualmente, la Guardiola è attualmente un luogo simbolo per la diocesi di Andria, che ha fortemente voluto riqualificare la struttura per valorizzarla come luogo polivalente per varie attività culturali e ricreative, in grado di costituire un polo di attrazione per la comunità locale.

FAI Masseria Guardiola

CENTRO VISITE DE L’UOMO DI ALTAMURA, C.DA LAMALUNGA ALTAMURA

All’interno del territorio del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, a 3 km dall’abitato di Altamura, il Centro Visite di Lamalunga, gestito dal Comune di Altamura, sviluppa il discorso espositivo/didattico intorno al fenomeno del carsismo per approfondire la conoscenza dell’ambiente dell’Alta Murgia e della speleologia, per inquadrare e illustrare le tematiche e le attività che hanno condotto alla scoperta della grotta dove è conservato lo scheletro fossile. Una selezione di minerali e fossili illustra la storia della terra, con particolare riguardo per la geologia del territorio e si possono osservare da vicino le speciali attrezzature con cui gli esperti esplorano le cavità carsiche, traendo informazioni importanti per la conoscenza della natura. Nella Stanza dei pipistrelli si può vivere l’esperienza della ecolocazione, cioè orientarsi e individuare gli ostacoli tramite l’emissione di ultrasuoni.

Il percorso di visita, che comprende l’utilizzo di sussidi audiovisivi, può essere integrato con specifiche attività didattiche, destinate precipuamente a un’utenza scolastica.

Partendo dal centro visite allestito presso la Masseria, sono possibili escursioni per raggiungere l’imbocco della Grotta dell’Uomo, la Grotta della Capra, il Pulo, il parco della Mena.

(da: Polo museale Altamura)

MASSERIA MALERBA, ALTAMURA

La masseria Malerba, ubicata in contrada Sgarrone ad Altamura, con accesso dalla strada comunale Barone, fu edificata nel XVII sec., precisamente nel 1603, come si evince dalla data incisa nell’architrave della porta di ingresso di uno dei due locali del corpo più antico.Il territorio limitrofo alla masseria era già popolato in età neolitica (4500-3500 a.C.), come scoperto a partire dagli anni ’50 dal Ponzetti, con il ritrovamento dei tre villaggi Malerba I, II e III. Nell’area sottostante la masseria si trovano importanti grotte non datate, scavate in strati di sabbie marine agglomerate, che fanno pensare a preesistenze abitative arcaiche.

La masseria Malerba appartiene da dodici generazioni alla famiglia de Mari, con costante trasmissione ereditaria di padre in figlio. Fu acquistata il 5 settembre 1650 da Giovan Geronimo de Mari, rilevandola dai coniugi Viti Plantamura, che avevano come amministratore tal Giovanni Manerba, da cui prese il nome la masseria, poi successivamente cambiato in Malerba nel XX sec.

Giovan Geronimo, figlio di Floriano, era nipote dell’omonimo Giovan Geronimo, U.I.D., cappellano di Sua Maestà Filippo II di Spagna, nominato Arciprete Mitrato della Chiesa Palatina di Altamura, di esclusiva nomina regia. Trasferitosi in Altamura nel luglio del 1586, proveniva da un ramo di antica famiglia di banchieri genovesi residenti a Napoli, e da tale data con suo fratello Floriano ed i suoi discendenti si radicarono nella città pugliese.

La masseria attuale, partendo dal nucleo originario di due ambienti, cosiddetti “lamioni”, ovvero i primi due locali visibili nella parte sinistra del prospetto, è stata ampliata in varie fasi nei secoli successivi, per esigenze agricole ed abitative, assumendo tutte le caratteristiche di un piccolo “borgo”. Centrale, in tali ampliamenti, è la sopraelevazione, verosimilmente settecentesca, del primo piano, con edificazione della scala di accesso e dell’abitazione padronale, composta da due ampi saloni centrali, da quattro stanze laterali, cucina e servizi. A tale epoca si presume risalga anche la cappella, costruita nel cortile interno.

L’intero complesso, con l’insediamento più antico, gravita su due ampi cortili recintati, su cui prospettano la piccola cappella ad angolo, la grande cantina semi interrata, e altri locali funzionali all’attività agricola costruiti successivamente nel XIX sec. Un terzo cortile, di creazione novecentesca, è ubicato a sinistra del cancello principale, ed è contornato da locali coevi, anch’essi funzionali ad attività agricole e più recentemente turistico-ricettive. Prospetticamente risaltano sulla facciata anteriore i due porticati dei locali più antichi, le lunghe balconate del piano superiore, l’ampio terrazzo laterale, il piccolo terrazzo adiacente, i fori d’ingresso delle colombaie. Sul retro è visibile in particolare uno slanciato fumaiolo a base trapezoidale con copertura a cuspide. Interessante inoltre il sistema di gronde per il convogliamento e il recupero delle acque piovane, composto da coppi sostenuti da mensole in mattoni. All’interno i vani, con strutture murarie in tufo, sono coronati da volte a botte al piano terreno, ed a padiglione ed a crociera al piano superiore. Pregevoli i pavimenti in cotto d’epoca.

Nel tempo la masseria è stata abitata dalle varie generazioni dei de Mari, qui residenti prevalentemente nei periodi da giugno a novembre, in stretto contatto con le attività agricole, cerealicole e vinicole. Simbioticamente con i proprietari, vi abitavano le famiglie contadine che davano vita ai luoghi e alle attività. Dal 1920 è presente la famiglia Forte (da Carlo, con i suoi cinque figli, a Carlino), coadiuvata dalle famiglie Carlucci, Incampo, Cagnazzi, Carissimo, Colonna, Nuzzi.

(Descrizione di Franco De Mari – riproduzione non consentita senza autorizzazione)

CHIESA DELLA MADONNA DEL ROSARIO, TERLIZZI

L’attuale Chiesa Santuario della Madonna del Rosario risale al 1931, quando la precedente struttura venne abbattuta per essere ampliata. Si accede alla Chiesa tramite un portale neoromanico composto da un architrave con un’iscrizione a caratteri capitali: O VERGINE IMMACOLATA E REGINA DEL SANTO ROSARIO. L’interno è composto da tre navate, le navate laterali sono coperte con volta a crociera. Nella navata sinistra, la terza campata accoglie l’altare dedicato alla Madonna del Rosario, Patrona della città di Terlizzi sin dal 1639. Il manichino ligneo raffigurante la Madonna del Rosario e il Bambino, la cui attribuzione è molto controversa, è affiancata da due angeli dorati. La statua della Madonna del Rosario è al centro di una devozione popolare molto sentita. Il primo sabato di ottobre si celebra la processione del simulacro dal Santuario della Madonna del Rosario alla Cattedrale.

Di particolare pregio storico-artistico il portale romanico di Anseramo da Trani del XIII secolo, che proviene dall’antica Cattedrale, divenuto dal 1863 porta secondaria del Santuario. L’archivolto è decorato con un doppio ordine di girali d’acanto, nella lunetta è rappresentata l’Ultima Cena e nell’architrave sono rappresentate scene della vita di Cristo.
(Fonte: catalogo MIBAC)

DIMORA CAGNAZZI, ALTAMURA

(VI sec a.C. – 1700)

La Dimora Storica Cagnazzi si trova ad Altamura, ed è una proprietà di Domenico Rajola Pescarini discendente di Luca de Samuele Cagnazzi che fu religioso, politico e illustre scienziato altamurano vissuto a cavallo fra XVIII e XIX secolo.

La proprietà comprende:
La Dimora Cagnazzi (oggi adibita anche a B&B / Casa Vacanze)
Cinque complessi ipogeici
Due neviere
– Granai
Un maestoso trullo
– Un’antica fornace
– Spazi coltivati con vigneto, uliveto e orto nonché aie riservate ad asini, conigli, volatili da pollaio e ovini.
– Arnie per l’apicoltura

Il luogo fra VI e IV sec a. C., in epoca magno greca, fu utilizzato per la realizzazione di una vasta necropoli i cui sepolcri furono scavati nella calcarenite; Il toponimo Lama Buccerii rinvia all’esistenza di un sito di macellazione che doveva comprendere aree di pascolamento per gli animali da macellare, grotte, cisterne per il recupero dell’acqua piovana o piccoli specchi d’acqua (localmente detti “laghi”) per l’abbeverata degli animali. Forse nei pressi del macello dovevano esserci anche delle concerie riservate al primo trattamento delle pelli; i suoi cinque complessi grottali ipogei potrebbero essere sorti in funzione dell’attività di macellazione; da queste grotte, e da altre contermini, si è sviluppato il labirintico sistema di cave ipogeiche da cui fu estratta la maggior parte del materiale lapideo utilizzato per la costruzione delle case altamurane; le due neviere sono una testimonianza di un’attività di grande rilevanza: il commercio del ghiaccio e l’antica “catena del freddo”.

Alla dimora storica Cagnazzi è annessa una cappella privata realizzata nel 1790. Per imposizione sovrana, sul suo ingresso fu apposta una lapide con iscrizione che ammonisce in merito al divieto di concedere asilo.

Il fabbricato oggi dista circa duecento metri dalla città di Altamura. Secondo i costumi del tempo, fu utilizzato dalla famiglia Cagnazzi come luogo di studio e meditazione. Al suo interno fu custodita, ed è tuttora conservata, parte della biblioteca che contribuì alla formazione culturale dei Cagnazzi. Essa annovera circa duemila volumi fra i quali alcuni esemplari stampati nel Cinquecento. Nelle sale della dimora storica si conservano mobili e suppellettili originali. Nella torre colombaia, attualmente utilizzata come sala della musica, è stato collocato un tavolo a quattro leggii che fu utilizzato prevalentemente da Giuseppe Cagnazzi, fratello di Luca, appassionato musicista che amava circondarsi dei migliori maestri dell’epoca tra cui Vincenzo Bellini. Giuseppe, con il fratello Luca, furono grandi estimatori di Saverio Mercadante e Luca si adoperò per inserirlo nel collegio di musica di Napoli. Nel 1790 Giuseppe Cagnazzi chiese ed ottenne l’autorizzazione sovrana di erigere nel suo “casino di campagna” una chiesetta rurale che tutt’oggi mantiene la sua originale funzione. Nel decreto di autorizzazione viene imposto l’obbligo di apporre sull’ingresso della chiesetta un’iscrizione lapidea con cui si avverte che in quel luogo di culto non si poteva fruire di asilo.

STABILIMENTO DE LAURENTIIS, SANTERAMO IN COLLE

La tenuta fa, maestosa, la guardia alla Murgia santermana dalla fine dal 1882 quando Luigi Patroni Griffi De Laurentis decise di farne una magnifica cantina vinicola, capace di fornire vino in tutta Europa. Un progetto ambizioso ed innovativo per i tempi in cui fu pensato e realizzato che ebbe, purtroppo, fine nel 1914. Rimasta per molti anni abbandonata, la struttura sta tornando a nuova vita grazie al restauro che i nuovi proprietari stanno realizzando con attenzione al suo valore storico e culturale. (SP236, km. 5,300)

“Percorrendo la Sp 236 da Santeramo in direzione Matera, nel tratto in cui una serie di curve porta dalla Murgia all’area delle Matine (375 metri sul livello del mare) si mostra alla vista una poderosa e compatta costruzione, un parallelepipedo con copertura a piramide: si tratta dello stabilimento De Laurentis, dal nome di chi, nel 1882 volle edificare uno stabilimento vinicolo dotato di cantine, cisterne e casa padronale. Nelle immediate vicinanze vi sono ancora i resti di cave di tufo, tombe ipogee di età romana, cavità erosive e grotte. Il prospetto principale è ripartito in sette aperture, scandite da paraste in pietra. Rilevante è la soluzione dell’ingresso principale, un portale a tutto sesto in pietra, incastonato tra due colonne di soluzione neoclassica. La struttura si compone di un piano interrato e due fuori terra. Il piano interrato misura m. 56,20 × 21,60 con un’altezza di m. 6,40, ed è diviso in ventuno ambienti. Nello scantinato vi erano tre cisterne di cristallo, una della capacità di 3.000 ettolitri, e le altre due di 1.500 ettolitri. Si rileva una botte in muratura rivestita in cristalli di Boemia per invecchiare il vino.Il primo piano fuori terra, grande quanto l’interrato, era usato come tinaia e cantina di elaborazione, infatti, vi erano sedici tini di fermentazione di circa 200 ettolitri l’uno, in rovere di Slavonia a doppio fondo, utilizzati per la fermentazione delle uve nere, e sei file di botti da 30 a 175 ettolitri divise in tre corsie. Probabilmente, il secondo piano fuori terra era riservato al proprietario come abitazione personale, considerando che lo stabilimento era attivo tutto l’anno, grazie al commercio ramificato dei suoi vini in Italia e in particolare nei paesi europei del Nord.” (Fonte e foto: Il Santermano.it)

MADONNA DELL’ASSUNTA, ALTAMURA

La masseria fu edificata nel XVII secolo da frati francescani e la sua forma ricorda le frequenti costruzioni monastiche fortificate che è facile trovare su tutto il territorio murgiano. Dedicata all’allevamento animale ed alla coltivazione, la masseria restò in mani ecclesiali fino al 1870 quando, a seguito dell’Unità d’Italia e della confisca dei beni della Chiesa, passò in mani private. La struttura odierna ha mantenuto gran parte dell’antico complesso e permette un tuffo nella storia agro-pastorale dell’Alta Murgia. (fonte: pane di Altamura)

Dal 1990 Michele Dibenedetto e i figli hanno destinato la parte antica del convento all’attività di agriturismo. L’azienda agrituristica ha mantenuto le caratteristiche architettoniche della masseria-monastero, di quest’ultimo si possono ammirare l’imponente campanile e la piccola chiesetta dedicata alla Madonna dell’Assunta che invitano al relax e alla meditazione.

Oggi la famiglia Dibenedetto mette a disposizione degli ospiti il proprio sapere cercando di promuovere la cultura tradizione di questi suggestivi luoghi con la cultura materiale dell’agricoltura biologica (Ente certificatore BioAgriCert srl codice di controllo IT BAC 162052 certificato N° 00113/2006) e delle moderne tecniche di allevamento.

POSTA MANGERI, CORATO

Dalla passione per l’agricoltura e per il nostro territorio nasce la nostra azienda agricola, composta da circa 80 ettari ricchi di mandorleti, uliveti, vigneti, seminativi, prodotti dell’orto e pascoli naturali coltivati secondo le moderne tecniche di coltivazione e nel rispetto del territorio e dell’ambiente. L’acquisto e la ristrutturazione della Posta nasce come attività connessa all’agricoltura, con l’intenzione di portare sulla tavola i sapori e i profumi delle nostre pietanze preparate sapientemente e corredate dalla bontà dei vini del territorio, il tutto in un ambiente semplice ed essenziale, dando la sensazione di trovarsi a casa propria.

Sorge su una collina, tra le Murge, un luogo che è casa e cucina, una sosta ristorativa di cibo genuino e paesaggio naturale. Nei nostri interni ogni cosa è illuminata, grazie alla luce, quella chiara, limpida e pulita delle giornate terse della nostra Murgia, ma anche grazie ai nostri bracieri che fungono da originali lampadari. Rispetto della storia e del territorio: sono questi i concetti che ci hanno guidato per la ristrutturazione della nostra Posta, per integrarla nel paesaggio senza stravolgimenti e al contempo darle una nuova vita che si riverbererà anche nel nostro progetto gastronomico.

Sulla Murgia sono presenti circa 1500 specie vegetali spontanee, il 25% di tutte quelle presenti in Italia. Questa enorme biodiversità ci permette di essere creativi e realizzare una cucina rispettosa del territorio e piena di sapori nostrani. La nostra Posta rende unico e indimenticabile ogni evento, proprio grazie allo scenario quasi surreale della natura incontaminata che la avvolge, circondata da 2,5 km di muretti a secco ristrutturati.

JAZZO CORTE CICERO, ALTAMURA

Corte Cicero, “corte dove nascono i ceci”; cicero parola dialettale che sta ad indicare una specifica pianta luguminosa, il trifoglio, nobile essenza dei pascoli con baccelli ricchi di ceci (ciceri). Lo jazzo è stato il braccio destro, lo spazio produttivo, l’ovile del Casino Viti De Angelis posto più in alto dove a partire dal 1600 venivano allevati cavalli, bovini e pecore. Le strutture masserizie di Corte Cicero sono lievemente adagiate in una delle lame e solchi vallivi che caratterizzano il complesso sistema topografico di Parco La Mena, zona situata in agro di Altamura ricca di pascoli, pascoli arbustivi con esemplari centenari di mandorlo selvatico Prunus webbii, antenato di tutte le varietà oggi coltivate, e di fitti boschi di roverella Quercus pubescent. L’area oltre ad avere un grande valore naturalistico affonda il suo più profondo essere tra la storia sociale ed economica di ieri e quella di oggi. Ieri è stata palcoscenico di tutta quell’economia che arricchiva il Sud, l’allevamento ovino. La Mena, la Mena delle pecore, la Dogana, quando si effettuava la transumanza l’arrivo degli armenti sulla Murgia in autunno veniva registrato alla Mena e i proprietari pagavano una quota per il pascolamento. A Parco La Mena venivano “menate” le pecore… Oggi molti pascoli sono stati sostituiti dai seminativi e l’attività pastorale si è ridotta a poche aziende “sedentarie”, solo i fratelli Schiavarelli effettuano una sorta di transumanza locale utilizzando le aree più alte durante l’estate. Nel comprensorio importanti sono gli allevamenti di pecora Altamurana, razza autoctona in via di estinzione, “missione” portata avanti dall’azienda di Antonello Viti De Angelis e da Jazzo Corte Cicero. La Masseria, lo jazzo e suoi boschi sono stati i luoghi del pensiero, del rifugio e della lotta, qui passò e fece base con i suoi contadini e contadine il Generale dei Briganti, Carmine Crocco di Rionero in Vulture.

Oggi l’azienda silvopastorale Jazzo Corte Cicero, un tempo parte integrante della proprietà Viti De Angelis, gestisce circa 200 ettari tra pascoli, pascoli arbustivi e arborati, e boschi cedui di roverella. L’attività pastorale e di pascolamento non fu più effettuata almeno dalla metà del 1980. Le terre e le strutture nell’ultima fase sono state utilizzate per l’allevamento e il pascolamento delle vacche podoliche che “arrivavano” dalla Basilicata in inverno e rimanevano fino alla metà di giugno. L’azienda, grazie al progetto Allupo, contribuisce alla valorizzazione delle razze domestiche autoctone, alla diffusione della cultura contadina e della conduzione sostenibile, alla conservazione dell’arte e dello stile di vita transumante, alla promozione della ricerca per la conservazione del lupo e della biodiversità dei sistemi agro-pastorali.

GROTTA DI SAN MICHELE ARCANGELO, MINERVINO MURGE

Ai piedi di Minervino, nel letto scavato dall’antico torrente Matitani – cioé nel vallone di San Michele – sono stati rinvenuti diversi reperti archeologici risalenti al VII secolo a.C.  La Grotta è stata creata dall’erosione dell’acqua piovana. La più antica testimonianza scritta del sito è contenuta in una pergamena custodita nel Monastero di Montecassino, nella quale si legge che nell’anno Mille furono restituite all’Abbazia diverse proprietà che la stessa vantava da tempi remoti, in particolare una “spelonca” “ in pertinentiis de civitate Minervine” dov’era alloggiata all’epoca la Chiesa di San Salvatore.

Non si conosce di preciso quando la Grotta fu consacrata al culto di San Michele, Patrono di Minervino insieme alla Madonna del Sabato. Comunque nel Seicento l’esistenza del culto micaelico è dimostrata dalla Perizia di Onofrio Tango effettuata per la vendita del feudo alla famiglia Tuttavilla di Calabritto (1668) e dalle visite pastorali. Nella visita pastorale del 1732 la Grotta viene nominata come “Chiesa del Glorioso Protettore San Michele Arcangelo” e si fa cenno all’Eremita di San Michele che si prende cura del luogo. Ecco perché esiste una piccola abitazione, costruita accanto all’ingresso della Grotta, avente all’origine la funzione di dormitorio. Il sito risulta rimaneggiato in epoche diverse. Risale alla fine dell’800 l’ingresso neoclassico, in cima al quale si legge il motto micaelico “Quis ut Deus” gridato, come noto, dall’Arcangelo a Lucifero nell’atto di scacciarlo dal Regno dei Cieli.

In realtà l’ingresso vero e proprio alla Grotta – dopo aver attraversato un corridoio dalla volta affrescata con l’immagine dell’Arcangelo – è costituito da una voragine che si apre nel terreno a cielo aperto. Da qui si diparte la scalinata che copre ben 20 metri di dislivello. Al termine della scalinata, composta di gradini di colore giallo-rossiccio, si presentano quattro colonnine di stile architettonico diverso a racchiudere un’area quadrata che richiama l’idea di un antico ciborio. Al centro domina l’Altare in breccia corallina sul quale è collocata la statua in pietra chiara di San Michele Arcangelo. Dietro l’Altare, affianco all’accesso a un antro più piccolo, una colonnina cava raccoglie le gocce dell’acqua che scendono dalla roccia. Da questa colonna l’Eremita dispensava l’acqua dell’Arcangelo ai fedeli.

(Fonte: algrama.it – Giuseppe Marrulli)

SANTUARIO MADONNA DEL SABATO, MINERVINO MURGE

La chiesa della Madonna del Sabato si trova a un chilometro circa dall’abitato e fu costruita verso la metà del XVII secolo su di una grotta basiliana scavata nel tufo, dove fu trovata dipinta sul muro un’immagine della Vergine col Bambino. Il dipinto su tufo risale al XV secolo e rappresenta la vergine col Bambino tra una coppia di angeli. È collocato in fondo ad una piccola grotta, accessibile mediante due scalinate laterali. Presumibilmente opera di pastori in transumanza. Poiché il rinvenimento avvenne in un sabato, 15 giorni dopo la Pasqua di un anno ignoto, da tale giorno prese il nome l’immagine e la sua festa si celebra annualmente appunto quindici giorni dopo Pasqua. Una leggenda, che per altro è comune a molte altre località, vuole che durante una battuta di caccia, alla quale partecipava anche il Principe Pignatelli, barone della Città, un cane si sia infilato in un’apertura del terreno e non sia più venuto fuori. Guidato dai latrati dell’animale, qualcuno della comitiva si rese conto trattarsi di una grotta, nella quale fu appunto scoperta l’immagine sul muro. Da allora la Madonna del Sabato fu proclamata Patrona di Minervino, mentre forse precedentemente lo era stata la Vergine Assunta.

La costruzione fu fatta dal Principe Marzio Pignatelli e consta di due parti distinte: quella inferiore, che è la grotta dove fu rinvenuta l’immagine e alla quale si accede per mezzo di due scalinate laterali, e quella superiore, costruita al disopra della prima, composta di una navata. Sull’arco sovrastante le rampe di scale che portano alla chiesa inferiore si trova ancora lo stemma in pietra di Pignatelli e Guevara. Guardando verso l’alto della facciata sotto l’arco terminale composto da tre conchiglie si ammira il bassorilievo della fontana da cui l’acqua zampillando defluisce a campana a simboleggiare la Madonna Fonte della Grazia. Il grande finestrone ad arco sottostante è riempito da una vetrata a mosaico attraversata dalla luce, fa apparire nella ricchezza dei suoi colori l’immagine della Madonna che sovrasta il paese. Il mosaico fu eseguito dall’artista G. Bertuzzi di Milano, nell’anno 1965. Il portone d’ingresso è rivolto a levante, l’esterno consta di due parti sovrapposte raccordate mediante gradinate: quelle discendenti portano alla Grotta della Madonna quelle ascendenti alla Chiesa composta da una sola navata terminata ad abside. Una tela di grandi dimensioni mt.4×2 ricopre la parete di fondo e raffigura in alto l’incoronazione della Vergine contornata dalla S.ma Trinità e da angeli e in basso al centro S. Rosa di Víterbo con ai lati S. Michele e S. Vito. Nelle arcate laterali sono collocate tele in gran parte pervenute da altre Chiese: a destra sull’ingresso della sacrestia si ammira una tela di S. Nicola datata 1601 del pittore Fiammingo Hoyic il quale a quei tempi aveva una bottega a Bari. La tela fu recuperata dalla cappella in devozione all’ospedale vecchio assieme all’altra collocata nell’arcata seguente che rappresenta la Madonna che consegna il Bambino Gesù a San Felice. Sulle due porte laterali furono sistemate due tele provenienti dagli altarini del transetto della Chiesa della Concezione, accantonate per fare posto a nicchie con statue poi trasportate al Santuario: una raffigura il transito di S. Giuseppe e l’altra S. Gennaro con in basso e ai lati S. Sabino e S. Vito. Non si conosce la provenienza dell’altra tela, dipinta da un certo Orazio Jacobotta nel 1506. È raffigurante la Madonna col Bambino, veduta in basso e ai lati da S. Lucia e S. Maria Maddalena.

Ma l’interesse primario per i devoti è la piccola grotta scavata nella roccia tufacea in profondità rispetto al livello esterno, alla quale si accede mediante scalinate laterali. Inquadrato nella parete compare l’affresco della Madonna che nell’abbraccio col Bambino, ne raccorda il piccolo volto al suo, quasi a comprimerlo dolcemente, mentre il suo tenero sguardo si volge a chi lo sta ammirando. La Madonna è seduta sotto una cortina rossastra fregiata di bianco. La chioma, di un biondo cupo, le scende ondulata sopra le spalle; la faccia ben disegnata, lo sguardo profondo e pensoso come di una madre preoccupata dei propri figli. Con la mano destra sorregge il Divino Bambino mentre con la sinistra il suo piedino.La pittura è meravigliosa, fa godere l’occhio e affascina il cuore. Secondo gli esperti che hanno curato il restauro, l’affresco risale con sicurezza alla fine del XIV sec. In un documento del 1657, anno in cui la famiglia Pignatelli vendette il feudo di Minervino al duca dì Calabritto, Vincenzo Tuttavilla, si fa menzione della prima Cappella rurale della Madonna del Sabato “nuovamente fatta, ad una navata con due altari, di cui uno con l’immagine della Madonna e l’altra con l’immagine di S. Vito… e vi si celebra a devozione ogni Domenica”. Da S. Vito tuttora prende nome la contrada viciniore.

La prima Cappella fu dunque fatta erigere in quegli anni con il patrocinio del principe Marzio Pignatelli fratello del Papa Innocenzo XII. A testimonianza si conserva lo stemma in pietra della principesca famiglia, collocato sull’arco che tramezza il lucernario tra le due parti dell’edificio. La leggenda popolare, sempre risalendo ai tempi dei principi Pignatelli, inquadra la scoperta della grotta durante una partita di caccia ad opera di cacciatori, richiamati dai latrati dei cani, che inseguendo la selvaggina erano penetrati nella grotta attraverso i rovi che la nascondevano. Circa due secoli dopo la costruzione della prima Cappella, con il crescere e il propagarsi della devozione, il Santuario venne ristrutturato ed ampliato nella forma attuale. Mons. Francesco Maria Galdi, vescovo della diocesi di Andria, della quale dal 1818 era entrata a far parte anche Minervino, fece costruire verso il 1880 un fabbricato, addossato all’abside della Chiesa, destinandone i locali del pianterreno a ricovero dei pellegrini. Nell’aprile del 1934 essendo Vescovo di Andria mons. Ferdinando Bernardi e Rettore del Santuario l’Arcidiacono don Giovanni Lacidogna, si pensò di coprire con un quadro in tela l’affresco della Madonna della Grotta, perché gravemente compromesso e corroso. Finalmente nel mese di settembre del 1990, dopo sopralluoghi e perizie da parte di esperti della Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici di Bari, con il concorso nelle spese di enti e semplici devoti, è stato portato a termine il restauro dell’affresco. Anche la casa, dopo un secolo, ha subito una radicale ristrutturazione all’interno e già hanno cominciato a prendervi dimora alcuni sacerdoti, che si stanno adoperando per la sistemazione delle strutture di accoglienza e per dar vita ad attività educative e ricreative.

(tratto da: Alunni 4B tgp Minervino Murge)

SANTUARIO SANTA MARIA DI CESANO, TERLIZZI

Sorta nel 1055 la chiesa di S. Maria di Cesano, parte di un antico cenobio monastico, occupava una posizione strategica facilmente raggiungibile per la sosta e il ricovero, dai viandanti che attraversavano, soprattutto per i pellegrinaggi in Terra Santa, la via consolare Traiana costruita nel I secolo d.C. e ampiamente utilizzata sino al Medioevo. Oggi la chiesa, tra le testimonianze superstiti del protoromanico in Puglia, si presenta con le trasformazioni del tempo a cominciare dalla facciata inglobata in una torre a scopo di difesa che motiva anche le alte mura che cingono l’edificio sacro. All’interno, nell’area del catino absidale, si conservano i resti delle deesis bizantina con il Pantocrator tra la Vergine e S. Giovanni. Echi bizantini si colgono ancora nella dolcissima Madonna con il Bambino affrescata all’ingresso del piccolo sacello. (Fonte: Comune di Terlizzi)

MASSERIA CASTELLI, ALTAMURA

Agriturismo Masseria Castelli, nel cuore del Parco dell’Alta Murgia, è una masseria risalente al 1700 come si può evincere dalla scritta incisa sull’architrave della chiesetta (in passato tutti i contadini della zona si recavano a messa la domenica mattina). Diverse decine di anni fa la famiglia Tortorelli ha rilevato l’azienda dall’antica Famiglia Castelli (tutt’oggi si è scelto di mantenere il nome storico) e da allora conducono un’agricoltura biologica di cereali, legumi e foraggio per gli allevamenti animali, in particolare gli ovini. Dal 2010 il signor Luigi Tortorelli e le figlie Paola e Rosa hanno introdotto in azienda la multifunzionalità e riportato lustro alle storiche strutture presenti in masseria, impiegandole per l’attività agrituristica e per le masserie didattiche, permettendo a tutti gli ospiti di passaggio di poter assaporare i piatti della cucina tradizionale e di conoscere la storia contadina. Tutti i prodotti impiegati sono realizzati nella medesima struttura o nelle aziende limitrofe. Fiore all’occhiello della struttura è la valorizzazione della razza ovina autoctona, la Pecora Altamurana, in via d’estinzione e che si cerca, con fatica, di recuperare.

ASPETTI PAESAGGISTICI E STORICI

La Murgia del Ceraso, in cui si trova Masseria Castelli, può essere considerata storicamente una delle zone maggiormente produttive del comprensorio altomurgiano, come dimostra l’elevata densità di masserie storiche quali Masseria Castelli, Masseria del Giudice, Masseria de Lorenzis, Masseria Ceraso Nuova e la presenza di infrastrutture di supporto alle attività agropastorali quali tratturi, cappelle rurali e cisterne. Dunque i valori storico-architettonici dominano su quelli paesaggistici e ad a poca distanza dal centro aziendale vi è l’insediamento archeologico di Casette di Castigliolo, frequentato dal VIII al II secolo a.C, del quale è ancora visibile una imponente cinta muraria di forma ellittica ed un grande trullo in pietra al centro della stessa. Il fascino rurale emanato da queste zone offre il meglio di sé durante la primavera quando il verde dei campi coltivati si perde all’orizzonte e sembra di essere tornati nel passato, quando l’agricoltura modellava il paesaggio senza stravolgerlo.

ASPETTI NATURALISTICI ED ESCURSIONISTICI

La Murgia del Ceraso è una zona a vocazione fortemente agricola, come dimostra il susseguirsi di seminativi a perdita d’occhio. Ciò è stato certamente favorito dal terreno pianeggiante e dalla scarsità di rocce affioranti, caratteristica distintiva di altre zone dell’Alta Murgia; la pietrosità superficiale dei suoli, ostacolo all’agricoltura sino agli anni “80”, non ha costituito più un problema da quando una serie di incentivi comunitari e regionali hanno dato avvio alla pratica dello “spietramento”, che ha comportato in pochi anni la trasformazione di ettari ed ettari di pascolo murgiano in coltivazioni cerealicolo-foraggere. L’area, data la densità di strade bianche e sterrate che attraversano i campi, si dimostra vocata al cicloturismo con mountain bike ed al turismo equestre.

Il proprietario racconta

Questo territorio è, da sempre, adatto all’allevamento ovino più che all’agricoltura, caratteristica che lo accomuna al vicino Abruzzo. Il legame pastorale tra Murgia ed Abruzzo è ancora più evidente se si fa caso all’andamento dei cosiddetti “tratturi”, lunghe autostrade erbose che permettevano l’agile spostamento di migliaia e migliaia di capi ovini dall’Abruzzo alle Puglie in quel “fenomeno stagionale” che è stata la transumanza. Uomini e greggi annualmente partivano dalle montagne abruzzesi per svernare sull’altopiano delle Murge, rientrando in Abruzzo all’inizio della primavera. Il sig. Tortorelli racconta che la sua azienda, era un punto di sosta durante la transumanza, per la presenza di tre caratteristiche fondamentali: un tratturo che passa proprio accanto ai suoi terreni, una piccola cappella – punto di aggregazione festivo di agricoltori della zona e di pastori di passaggio – ed una neviera, mai ultimata, della quale si notava, un tempo, lo scavo realizzato ai tempi della sua costruzione. Proprio le neviere svolgevano, nel passato, un ruolo importantissimo: durante la stagione invernale si accatastava la neve compattandola, la stessa veniva riutilizzata durante la primavera e l’estate come fonte idrica o merce di scambio. Lo sfruttamento e la conservazione della risorsa “neve” imponevano determinati accorgimenti: uno strato di paglia e fascine sul fondo della struttura impediva alla neve di sciogliersi a contatto con il suolo e la teneva pulita. La neve era posta a strati, separati da piani di paglia, mentre per coprire ermeticamente la neve e ridurre la dispersione termica, in cima si ponevano altra paglia, assi di legno ed altri materiali isolanti.

LARGO CIRILLO, TERLIZZI

Nel centro storico di Terlizzi, in quello che una volta era il Mercato Ittico cittadino, Largo Cirillo sarà la sede dell’ultimo concerto di Suoni della Murgia. L’area è stata da poco riqualificata con una nuova pavimentazione in pietra calcarea anticata, la messa a dimora di alberi di arance, panchine e fontane e fa parte di un progetto più ampio di riqualificazione dell’intera zona cittadina. (Foto: TerlizziLive.it)